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[ bivacchi ]
Zola - E poi, io qui ci mangio, almeno con gli occhi, ed è sempre meglio che rimanere digiuni… Ciò che mi esaspera, ciò che non è giusto, è che questi maledetti borghesi poi se li mangiano veramente![1]
Tuttavia, la filosofia è stata riluttante a scendere così in basso, e si darà subito da fare per risalire in groppa e riprendere il cammino lungo la strada che porta a Francoforte. 

- Che c’è da vedere in questo quadro di van Gogh? Nient’altro che un paio di grossi scarponi da contadino. L’immagine non rappresenta proprio niente – dice il filosofo.[2]
- Come sarebbe a dire che non rappresenta proprio niente! Un solido paio di scarpe sono forse “niente”?
- Un paio di scarpe da contadino e null’altro– conferma il filosofo[3]... Ma tuttavia

No. La filosofia non ce la fa proprio a starsene così in basso, troppo vicino alla cosa.
Da una posizione di Terra gli manca il fiato della vertigine.
La scarpa non ha fatto in tempo ad esser citata che subito viene re-citata scoraggiando il ricorso ad sua visione concreta, immediata e ravvicinata. 

Consideriamo, a titolo di esempio, un mezzo assai comune: un paio di scarpe da contadino. Per descriverle non occorre affatto averne un paio sotto gli occhi. Tutti sanno cosa sono. Ma poiché si tratta di una descrizione immediata, può esserne utile facilitare la visione sensibile. A tal fine può bastare una rappresentazione figurativa. Scegliamo, ad esempio, un quadro di van Gogh, che ha ripetutamente dipinto questo mezzo.[4]

Per “facilitare” la visione sensibile di un comune paio di scarpe non si ricorre al semplice fatto di averne un paio a portata di mano - precisamente: ai piedi e proprio sotto gli occhi. E' preferibile piuttosto mettersi sotto gli occhi (e sotto i piedi) una loro rappresentazione figurativa!
Anche se tutto lascerebbe credere che alla filosofia non sia possibile lo sguardo diretto sulla “cosa”[5], non azzardatevi comunque a credere che in filosofia un paio di scarpe reali siano considerate alla stessa stregua della loro immagine.
Al mattino ogni filosofo e moglie di filosofo sanno distinguere bene la differance tra le due cose - pur vivendo in un mondo di ombre dove basta appena nominare un famoso quadro di van Gogh che all’istante “dall’orificio oscuro dell’interno logoro” delle scarpe dipinte “si palesa” il fantasma aladino di una contadina che guarda le proprie logore scarpe. 

Un paio di scarpe da contadino e null’altro. Ma tuttavia…

Questa esitazione sta forse ad indicare che da un’opera d’arte ci si deve aspettare dell’altro oltre sé stessa? Un “null’altro” non rappresentato e tuttavia esistente?

…vi è qualcosa qui in cui vien fatto subito, spontaneamente, di ritrovarci… Nell’orificio oscuro dell’interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando… la durezza del lento procedere… Sotto le suole trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala…[6]

Se però, guardando un comune paio di scarpe, reali o dipinte, non vedi per primo l’artefice[7] ma il loro possessore[8], ad agire è la fantasia di chi guarda il sé compiere l’unica azione che gli riesce concepibile di svolgere praticamente, ossia quella di guardare alle cose comuni come doni di un dettato celeste, non certo come opere di concrete capacità lavorative dell'uomo portate al mercato. 
E qui tornerebbe utile ripetere che “il contegno reale pratico dell’operaio nella produzione e rispetto al prodotto (come stato d’animo) si presenta nel non-lavoratore, che gli sta di fronte, come contegno contemplativo”[9], e chiederci se l’enigma del particolarissimo sentimento estetico suscitato dall’opera d’arte dell’epoca del capitalismo maturo e stramaturo non sia da ricercare anche nella vereconda insipienza del non-facente.
Viene giusto da dire che

Il fanciullo era davanti a quella cosa, muto, stupito, cogli occhi fissi. Per un uomo sarebbe stata una scarpa, per il fanciullo era un’apparizione. Dove l’uomo avrebbe visto la ciabatta, il fanciullo vedeva il fantasma.[10]
[1] - Émile Zola, Il ventre di Parigi, prima pub-blicazione en feuilleton dal 12 gennaio al 17 marzo 1873 sul giornale parigino “L’État”.
[2] - Heidegger, Introduzione alla metafisica, 1935 (edito nel 1953).
[3] - Heidegger, Origine Ni68 (1936), cit.
[4] - Ivi.
[5] - Neppure questa “cosa” fosse dotata di un potere meduseo che trasformerebbe in pietra chiunque si attenesse alla sua presenza reale senza la circospezione di scrutarla dallo specchietto retrovisore di Perseo.
[6] - Ivi.
[7] - (…il facente, creante?). - “…  credo che se si vuole dare una spiegazione si deve prendere in considerazione non tanto colui che usa questi oggetti quanto l'artigiano che li produce”, dice Malinowski a proposito degli abitanti delle isole Trobiand. (Bronislaw Malinowski, Argonauti del Pacifico Occidentale (1922), ed. Newton Compton, Roma, 1978: vedi intero brano in Materiali, qui sotto). 
[8] - …il salvaguardante, verecondente?
[9] - Marx, Opere filosofiche giovanili (1844), cit. p. 205.
[10] - Parafrasi da Victor Hugo, L’uomo che ride, op. cit. p. 21.






§ [ bivacchi ]

Nota 6 - “Il valore non è il risultato dell'utilità e della scarsità combinate astrattamente, ma il risultato di un sentimento che si sviluppa intorno alle cose che, attraverso il soddisfacimento dei bisogni umani, sono capaci di evocare emozioni. II valore degli oggetti d'uso prodotti deve essere spiegato anche esso mediante la natura emotiva dell'uomo e non riferendosi alla sua attività logica che costruisce obbiettivi utilitaristici. Qui, tuttavia, credo che se si vuole dare una spiegazione si deve prendere in considerazione non tanto colui che usa questi oggetti quanto l'artigiano che li produce. Questi indigeni [delle isole Trobiand] sono lavoratori industriosi e accaniti, che non lavorano sotto lo stimolo della necessità o per guadagnarsi da vivere, ma sotto l'ispirazione del talento e della fantasia, che hanno un alto senso della loro attività, concepita spesso come il risultato di un'influenza magica, e da cui traggono piacere. Ciò vale specialmente per coloro che producono oggetti di grande valore e che sono sempre dei valenti artigiani, appassionati del loro lavoro. Adesso, questi artisti indigeni apprezzano altamente i materiali buoni e la perfezione tecnica e quando trovano un pezzo di materiale particolarmente buono, è per loro un invito a prodigarvi una sovrabbondanza di lavoro e a produrre così delle cose troppo belle per essere usate, ma che appunto per questo si desidera sopra ogni cosa possedere. La maniera accurata di lavorare, la perfetta padronanza della tecnica, la scelta del materiale, l'inesauribile pazienza nel dare gli ultimi tocchi sono state spesso notate da coloro che hanno visto gli indigeni all'opera. Queste osservazioni hanno attirato l'attenzione di alcuni economisti teorici, ma è necessario vedere questi fatti in relazione alla teoria del valore. Cioè, questo atteggiamento affettuoso verso il materiale e il lavoro produrrà un sentimento di attaccamento ai materiali rari e agli oggetti ben lavorati e ciò avrà come risultato che verrà loro attribuito un valore. II valore sarà annesso ai tipi rari di quei materiali che gli artigiani usano di solito:quelle specie di conchiglie che sono scarse e che si prestano in modo particolare ad essere modellate e levigate, i tipi di legno che sono anch'essi rari, come l'ebano, e piu specialmente delle varietà particolari di quella pietra con cui si fabbricano gli arnesi (n.d.a.: Nello spiegare il valore non voglio tracciarne le possibili origini ma cercare semplicemente di mostrare quali sono gli elementi reali e ascrivibili in cui può essere scomposto l'atteggiamento degli indigeni verso gli oggetti). Possiamo adesso confrontare i nostri risultati con le opinioni erronee sull'uomo economico primitivo che abbiamo esposto sommariamente all'inizio di questo paragrafo. Vediamo che il valore e la ricchezza esistono nonostante le cose siano abbondanti e che questa abbondanza è apprezzata di per se. Gli oggetti vengono prodotti in grandi quantità al di là di ogni loro possibile utilità, come semplice risultato dell'amore per l'accumulazione fine a se stessa; il cibo è lasciato imputridire e, sebbene gli indigeni abbiano tutto ciò che di necessario potrebbero desiderare, pure vogliono sempre di piu, per usarne come ricchezza. Inoltre, per gli oggetti di tipo vaygu'a (cap. 3, parag. 3), non è la scarsità connessa all'utilità che crea il valore, ma una rarità scovata dall'abilita dell'uomo all'interno dei materiali da lavorare. In altre parole, non si dà un valore a quelle cose che sono utili o anche indispensabili, ma difficili da trovare, poiché  tutti i beni indispensabili alla vita possono essere raggiunti facilmente dagli isolani delle Trobriand. Viene invece attribuito un valore a quell'oggetto al quale l'artigiano,avendo trovato un materiale particolarmente bello o fuori del comune, è stato indotto a dedicare una quantità di lavoro sproporzionata. Così facendo, egli crea un oggetto che è una specie di mostro economico, troppo bello, troppo grande, troppo fragile o troppo sovraccarico di decorazioni per essere usato e proprio perciò altamente apprezzato.” [Bronisław Malinowski: Argonauti del Pacifico Occidentale (1922), ed. Newton Compton, Roma, 1978, p. 153]
VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES